Marta gioca a rugby, quello sport dove ci si rotola nel fango, dove si corre, dove il contatto è duro e, a volte, si sputa sangue nell'erba. Quello sport che abbiamo sempre visto giocare da uomini giganti, fortissimi, "cattivissimi.
Sa che in quello sport se non sei grosso, puoi essere agile; se non sei fortissimo, puoi essere veloce. Capisce come non serva fingersi meno donna, per essere considerata davvero come atleta ed ha imparato che quelle che una volta erano viste come debolezze in campo, sono altro:  sono punti di forza
Non è stato facile, no, ritagliarsi uno spazio in un mondo che è sempre stato "machista". Non è stato facile dover fare il doppio degli sforzi perché la sua voce si sentisse, cercare di acquisire competenze al pari dei suoi colleghi, per poter dimostrare di meritare il rispetto sul campo e fuori. Non è facile rompere il pregiudizio sulla sessualità, che non dovrebbe essere rilevante, come atleta. Non è facile quando il poco trucco e le t-shirt ti fanno stare bene nella tua pelle, ma il "senso comune" fa di tutto per distorcere la tua femminilità semplice.
Non è facile superare lo stereotipo per cui se in campo sei un maschiaccio, fuori dal campo minigonna e trucco pesante, per dimostrare qualcosa... a chissà chi poi, indossando una maschera. Non è stato facile uscire dalla banalizzazione tacchi e tacchetti
Marta è una donna, un'atleta ed una allenatrice (allena il settore Juniores femminile della stessa società per cui gioca):
 Libera di fare sport.
Libera di essere donna oltre l'abito.
Libera di sentirsi donna, in un mondo di uomini che stanno imparando a rispettarla, anche con addosso le sue Vans.
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